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Marche. Curiosità e stabilitàLe Marche, terra di confine tra nord e sud, partecipe anche al proprio interno di differenze notevoli, è riuscita a contemperare, nei secoli, due caratteri opposti: la curiosità e una sorta di inquietudine per il diverso, insieme ad altrettanta stabilità o persino immobilità.
Terra di confine che guarda l'Adriatico verso Oriente e che ha dato, nel corso dei secoli, insigni viaggiatori e missionari e scienziati in Asia. Accanto alle decine di uomini che tra il XVI e il XX secolo hanno visitato per la prima volta o descritto intere regioni dell'Asia orientale, India, Cina, Nepal e Tibet, la storia ricorda soprattutto tre illustri tre maceratesi. Il primo è certamente Matteo Ricci (1552-1610); poi Cassiano Beligatti, cappuccino, che visita e descrive per la prima volta, in preziosi manoscritti ancora inediti, Nepal e Tibet intorno alla metà del '700; e Giuseppe Tucci, grande orientalista, accademico d'Italia, fondatore dell'Ismeo. Quali ragioni profonde nel territorio, nella storia e nella cultura della Regione hanno spinto missionari e studiosi verso Oriente?
In un saggio del 1942 dedicato a Matteo Ricci, Tucci diceva: «Non so se abbiate mai pensato a certe curiose connessioni fra uomini e luoghi che sembrano dovute a gioco del caso, a quell'estroso guizzo dell'irrazionale che fendendo la necessaria certezza delle leggi da noi immaginate, rivela d'un tratto alla presunzione dell'intelletto i misteri dell'infinito possibile. Perché, come potete spiegare che proprio in questa nostra Marca maceratese sia nato il maggior numero dei pochi orientalisti italiani, anzi quelli che penetrarono nelle regioni più inaccessibili dell'Asia? Inaccessibili, badate, non solo per asprezza di terre, perché non c'è difficoltà della natura che l'uomo non vinca: piuttosto per la più ostile inviolabilità con cui i popoli si difendono dal forestiero; come dire la diffidenza, il sospetto, l'ostinata ritrosia dei loro segreti spirituali. Pensate: Matteo Ricci apre la strada della Cina, Cassiano Beligatti, Domenico da Fano, Giuseppe Felice da Morro e tanti altri loro compagni della Marca valicano l'Himalaya, s'arrampicano sul tetto del mondo e penetrano a Lhasa. Restituito ad unità il regno d'Italia è Arcevia che dà alle nostre Università il primo professore di cinese e di giapponese: come se, per arcane simpatie operose nella levità dell'etere o vibranti nel mondo degli spiriti, certi figli di questa terra dolcissima abbiano risposto al richiamo di remote civiltà; o sarà stato, come direbbero in India, impensato ritorno ad una patria lontana, perduta e ritrovata nel tortuoso cammino del continuo morire e rinascere».
Non v'è dubbio che Ricci tragga linfa e alimento e fibre per la formazione della sua mente, della sua affettività e del suo sguardo sul mondo, dalla terra e dalla cultura che gli ha dato i natali e nella quale è vissuto fino a sedici anni, ormai maturo per iscriversi a un corso di studi universitari. Terra, le Marche, posta tra l'Appennino, a occidente, e il mare Adriatico verso oriente. Da Macerata, in particolare, posta a metà strada tra i monti e il mare, lo sguardo trova a ovest il proprio limite nella catena dei Sibillini, i "monti azzurri" di Giacomo Leopardi; ma scorge, dai propri palazzi, l'Adriatico che spinge il pensiero alle terre che si distendono al di là. Questa posizione, che raffrena e racchiude e obbliga a essere stabili e fermi, accende per altro verso la curiosità e una sorta di profonda vibrazione per tutto ciò che è oltre e diverso.
Credo che fossero proprio l'inclinazione e l'attenzione al diverso tipiche della sua gente, quelle che Ricci riferiva a sé stesso in una delle prime lettere commoventi dall'India, quando interpretava la benevolenza con la quale era stato fino a quel momento accolto in ogni parte come una ricompensa divina per "una particular affettione e cura che, stando in Roma, haveva a quei di diversa natione" (L19). Partito dalla sua terra e non avendovi mai più fatto ritorno, non la dimenticò; anzi la lontananza e la separazione rafforzarono il legame.
tratto dal documento "Le Marche di Matteo Ricci" di Filippo Mignini |